Blue Economy: un mare di opportunità per il pianeta

La Blue Economy è un modello di business sostenibile, ovvero capace di generare un impatto positivo e di lungo termine soprattutto sulla salute dei nostri oceani. Più in generale, comprende tutte le attività economiche che hanno a che fare con il mare, le coste e i fondali. Rappresenta un modello di sviluppo economico basato su durabilità, rinnovabilità e riutilizzo, che si pone come obiettivo principale quello di rivoluzionare le nostre attività produttive, azzerare le emissioni di sostanze inquinanti attraverso l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili e creare nuovi posti di lavoro. 

L’acqua ricopre il 71% della superficie terrestre ed occupa un volume enorme di circa un miliardo e mezzo di chilometri cubi. Oceani, laghi, mari e fiumi rappresentano, quindi, un patrimonio straordinario per l’intera umanità, ma purtroppo si stanno trasformando  in enormi discariche a cielo aperto ricoperte di bottiglie, buste, imballaggi ed altri rifiuti; delle vere e proprie “isole di plastica” alle quali va posto rimedio il prima possibile.

Secondo le stime delle Nazioni Unite ad oggi l’economia del mare genera posti di lavoro per 31 milioni di persone e rappresenta il 2,5% del valore aggiunto lordo mondiale. Ma non finisce qui, oltre 3 miliardi di persone dipendono dalla biodiversità e dai servizi offerti dagli ecosistemi marini. Questo significa che circa il 40% della popolazione mondiale dipende in maniera diretta o indiretta dalla sopravvivenza degli ecosistemi marini e ciò vuol dire che i processi di tutela e rispetto dei mari e degli oceani devono rappresentare una priorità per tutti, trovare soluzioni per alleviare la forte pressione che gli specchi d’acqua subiscono dalle attività umane deve tradursi in una sfida e in un’opportunità per aziende e start up.

Attraverso la Blue Economy si vogliono valorizzare a pieno tutte le potenzialità derivanti dalle acque marine e creare un modello di economia circolare sostenibile e autosufficiente.

Come nasce l’espressione Blue economy

Il termine fu coniato per la prima volta dall’economista belga Gunter Pauli nel suo libro “Blue Economy. 10 anni. 100 innovazioni. 100 milioni di posti di lavoro.”  Pauli parte dall’analisi di una disciplina scientifica ancora poco conosciuta: la biomimesi. La parola biomimicry, entrata nel dizionario solo nel 1974, indica il trasferimento di processi biologici dal mondo naturale a quello artificiale. Tale disciplina, infatti, si occupa di studiare, e possibilmente imitare, i processi biologici e biomeccanici della flora e della fauna terrestre. In buona sostanza, gli scienziati studiano la natura per cercare soluzioni da applicare alle quotidiane attività umane.

L’economista belga, per esprimere il concetto di Blue Economy, parte proprio dal “funzionamento della natura” in cui nulla è sprecato e tutto viene riutilizzato in un processo che trasforma i rifiuti in materie prime. Ciò è possibile farlo con nuove tecniche di produzione e trasformazione più efficienti e meno inquinanti, tali da ottenere un impatto significativo in termini economici, sociali ed ambientali.

Blue Economy come sviluppo della Green Economy

A differenza della green economy, la blue economy non richiede alle aziende di investire di più per salvare il pianeta.

La Blue Economy viene concepita da Gunter Pauli, proprio come il naturale sviluppo della Green Economy, in quanto quest’ultima prevede la riduzione della CO2, mentre l’economia blu punta al totale azzeramento.
Non si tratta solo di innovazione tecnologica ma di un vero modello di business alternativo ispirato al blue thinking: innovazione della trasformazione, attraverso la responsabilità ambientale e la valorizzazione delle risorse, evitando di produrre più di quanto sia necessario, così da non generare spreco di risorse e rifiuti non riciclabili o riutilizzabili. Rappresenta, quindi, un approccio che mira a favorire sì la crescita economica, ma con un minore impiego di capitali. 

La rilevanza strategica per UE

Gli oceani contribuiscono alla prosperità del nostro pianeta: producono investimenti, posti di lavoro, crescita economica, stimolano la competitività grazie all’innovazione tecnologica.
L’utilizzo di energia marina rinnovabile rappresenta una risorsa preziosa e può contribuire sensibilmente agli obiettivi di decarbonizzazione dell’Europa posti per il 2050.

Numerose sono le organizzazioni all’interno dell’Ue impegnate nei settori emergenti legati strettamente all’economia blu, sia come fornitori di tecnologie, sia come gestori di miniere. Si tratta di studi e sperimentazioni applicate a diversi ambiti:

  • Energia proveniente dalle onde e dalle maree per favorire la produzione eolica off shore.
  • Estrazione mineraria nei fondali marini al fine di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico.
  • Esplorazione della biodiversità marina con lo scopo di aiutare a sviluppare nuovi farmaci e enzimi industriali. Si cerca di sfruttare tutte le potenzialità degli organismi marini per l’ambito medico, farmaceutico, alimentare e nella produzione di energia, specie l’energia da biomassa delle alghe. 
  • Rimozione del sale dalle acque marine tramite processo di dissalazione per consentirne l’impiego per uso alimentare ed industriale.
  • Carbon capture & storage, cioè tecnologie e tecniche che consentono di catturare e ridurre le emissioni CO2.

 

Tutto ciò denota il grande impegno dell’UE in questa direzione. Nella sua relazione annuale (2020), infatti, la Commissione europea si è impegnata a misurare le tendenze, le prestazioni e i progressi della Blue Economy e a monitorarli sistematicamente. Sostanzialmente, si è compreso che l’economia blu in Europa rappresenta a diversi livelli un prezioso investimento sia a breve sia a lungo termine.

Con un fatturato di 750 miliardi di EURO e 5 milioni di addetti nel 2018 (+11,6% rispetto all’anno precedente), l’economia blu dell’UE gode di buona salute. Nonostante settori quali il turismo costiero e marino, la pesca e l’acquacoltura siano stati gravemente colpiti dalla pandemia di coronavirus, l’economia blu nel suo complesso ha un enorme potenziale per contribuire alla ripresa. Sono le parole del commissario europeo per l’ambiente, gli oceani e la pesca Virginius Sinkevičius ad incoraggiare nel proseguire su questa rotta: “L’energia rinnovabile e gli alimenti che traiamo dal mare, il turismo costiero e marittimo sostenibile, la bioeconomia blu e molte altre attività che costituiscono l’economia blu ci aiuteranno a uscire da questa crisi più forti, più sani, più resilienti e più sostenibili. Stiamo facendo tutto il possibile per attenuare l’impatto delle misure di confinamento e proteggere i posti di lavoro nell’economia blu e il benessere delle comunità costiere mantenendo nel contempo le nostre ambizioni ambientali.”

Il caso dell’Italia

Anche per il nostro Paese la Blue Economy assume sempre più una rilevanza strategica imprescindibile. Basti pensare che l’Italia con i suoi 8.670 km di coste è la terza più grande economia blu d’Europa e leader per il tasso di produttività nell’uso delle risorse marittime. L’economia blu italiana, trainata dal turismo costiero, dà già lavoro a oltre 390.000 persone e genera circa 19,7 miliardi di euro di valore aggiunto al PIL nazionale.

Una risorsa importante soprattutto per il sud, dove molti giovani imprenditori italiani hanno già scommesso su questo nuovo modello economico. Secondo Confindustria, alla fine del 2017, circa il 10% delle imprese della blue economy (19.000 in totale) sono nate da un’iniziativa intrapresa da giovani principalmente del centro e sud Italia. 

Senza dubbio è il caso di dire che un Paese come il nostro, circondato dai mari e pieno di ricchezze naturali di inestimabile valore non può fare a meno che puntare con veemenza allo sviluppo di questo modello di economia circolare e sostenibile.

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