L’impatto dello spreco alimentare sulla società

Tanti sono stati i modi e le accezioni utilizzate nel corso degli anni per definire lo spreco alimentare. C’è chi ha distinto tra perdite di beni lungo la filiera agroalimentare (food losses) e spreco di cibo nelle fasi di vendita e consumo (food waste), chi considera spreco di cibo qualsiasi sua destinazione diversa dal consumo umano e chi invece ritiene che riutilizzare gli scarti dalla catena agroalimentare per l’alimentazione animale, per produrre fertilizzanti o bioenergia sia uno spreco solo parziale.

Qualsiasi definizione si voglia prendere in considerazione, sicuramente  lo spreco alimentare va considerato come lo specchio della cultura consumistica del nostro tempo. 

Ogni anno, secondo i dati FAO, nel mondo, si gettano 1,3 miliardi di tonnellate di cibo (1/3 della produzione mondiale) ed al contempo 795 milioni di persone soffrono la fame; 110 kg è lo spreco domestico pro capite che si registra in Inghilterra, seguono Stati Uniti (109 kg), Francia (99 kg), Germania (82 kg) e Svezia (72 kg); si stima inoltre che 2.1 miliardi di tonnellate di cibo sarà gettato via nel 2030 (+61,5%).

La situazione in Italia non va di certo migliorando: 12 miliardi è il valore degli alimenti che finiscono nella spazzatura ogni anno; 50% è la percentuale degli sprechi che avviene in casa; 65 Kg di cibo pro capite sprecati ogni anno.

Gli obiettivi dell’Agenda 2030

Lo spreco alimentare, oltre che essere inaccettabile dal punto di vista etico, comporta pesanti e rilevanti conseguenze sia sotto il profilo sociale ed economico sia sotto quello ambientale, basti pensare che il 10% delle emissioni di gas serra è ad esso imputabile e che vengono sprecate ingenti risorse idriche, a loro volta preziose.

Per questa ragione l’ONU ha inserito tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 l’Obiettivo 12 – Target 12.3 che prevede di “dimezzare lo spreco alimentare pro capite globale al dettaglio e al consumo entro il 2030, nonché di ridurre le perdite alimentari lungo la catena di produzione e di approvvigionamento”.
Anche la Commissione Europea nel presentare al Parlamento UE la Strategia A ‘Farm to Fork’ Strategy for a fair, healthy and environmentally-friendly food systemha contemplato la promozione di un consumo alimentare più sostenibile e la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari come parti essenziali dell’European Green Deal.

Tuttavia, la fotografia scattata da Fondazione Barilla Center for Food e Nutrition (BCFN), in occasione della Giornata Nazionale di prevenzione dello Spreco Alimentare, mostra uno scenario drammatico, che ci allontana decisamente dagli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030 dell’ONU. 

A tal proposito Anna Ruggerini, Direttore Operativo della Fondazione Barilla, lancia un preoccupante allarme “Il 30% dei cereali prodotti, il 35% del pesce pescato, il 45% di frutta e verdura coltivata, il 20% dei prodotti lattiero-caseari e il 20% della carne  vengono gettati ogni anno. Un danno per il Pianeta, che ci fornisce le sue risorse, un danno economico, per aziende e famiglie, e sociale, visto che con 1/4 di quel cibo si potremmo sfamare i milioni di persone nel mondo che non hanno possibilità di mangiare. Questo dimostra l’urgenza di dar vita a una rivoluzione alimentare, che passi però da azioni concrete e da una adeguata educazione che ci aiuti a prevenire questo fenomeno”. 

Spreco alimentare e cambiamento climatico

Ormai è noto come lo spreco alimentare incida notevolmente sul cambiamento climatico, producendo circa 186 milioni di tonnellate di CO2, a cui devono aggiungersi gli impatti legati all’ acidificazione ed eutrofizzazione, che rappresentano il 15% -16% degli impatti prodotti da tutta la filiera di produzione alimentare. Lo spreco di cibo contribuisce al surriscaldamento climatico quasi quanto tutti i trasporti su strada a livello globale (l’87% per la precisione)

L’impatto in termini di emissioni di un prodotto alimentare è equivalente all’ammontare dei gas serra prodotti lungo tutto il corso del suo ciclo di vita, partendo dalla fase della produzione fino a quella del consumo finale. L’impatto ambientale di un prodotto, dunque, varia a seconda della natura di quest’ultimo e dell’intensità degli interventi di cui necessita; i cereali e la carne, ad esempio, impattano di più sulle emissioni rispetto alla frutta o alla verdura.

Prajal Pradhan, coautore di un autorevole studio pubblicato sulla rivista Environmental science & technology, spiega che “L‘agricoltura è una delle principali cause dei cambiamenti climatici, ed è responsabile di oltre il 20 per cento di tutti i gas serra, evitare lo spreco e la perdita di cibo limiterebbe le emissioni e contribuirebbe a mitigare i cambiamenti climatici”. Dagli studi dei ricercatori, infatti, emerge che la domanda globale di cibo per persona, negli ultimi cinquanta anni, è rimasta praticamente costante a fronte di una disponibilità di alimenti in forte crescita. Quindi, la maggior parte delle emissioni, aumentate del 300 per cento nello stesso periodo di tempo, sono provocate dal cibo prodotto che poi non viene consumato.

Il contributo dello spreco di cibo alle emissioni, poi, è diverso a seconda di dove, all’interno della catena produttiva, avviene lo spreco stesso. Un pomodoro gettato nella fase della raccolta impatta meno rispetto a uno eliminato dal consumatore finale, dopo essere stato trasportato e lavorato. Di conseguenza, sebbene non vi sia molta discrepanza tra la quantità di prodotti alimentari dispersi o sprecati nei Paesi industrializzati e nei Paesi in via di sviluppo (rispettivamente 670 e 630 milioni di tonnellate circa), nei primi l’impatto ambientale dello spreco è molto più alto, poiché questo avviene in larga misura nella fase del consumo finale. Al contrario, negli Stati in via di sviluppo il cibo viene maggiormente disperso nelle fasi iniziali di raccolta e stoccaggio, per vie delle tecnologie e delle infrastrutture meno avanzate a disposizione.

Alcune start-up contro lo spreco di cibo

L’UE ha stimato che in Europa, ogni anno, vengono gettati via 88 milioni di tonnellate di cibo, circa il 20% di tutto il cibo prodotto. Questo è solo uno dei dati sconcertanti che ha smosso la coscienza di molti imprenditori e startupper europei e che hanno favorito la nascita di progetti ed imprese con l’obiettivo di principale di combattere lo spreco di cibo. 

Diverse sono diventate molto famose ed utilizzate; citiamone alcune:

  • Too Good To Go: fondata nel 2015 in Danimarca oggi è presente in 15 Paesi (Europa e Stati Uniti), conta oltre 30 milioni di utenti ed è tra le prime posizioni negli App Store e Google Play di tutta Europa. Too Good To Go permette a bar, ristoranti, forni, pasticcerie, supermercati e hotel di recuperare e vendere online – a prezzi ribassati – il cibo invenduto “troppo buono per essere buttato” grazie alle Magic Box, delle “bag” con una selezione a sorpresa di prodotti e piatti freschi che non possono essere rimessi in vendita il giorno successivo. Gli utenti della app non devono far altro che geolocalizzarsi e cercare i locali aderenti, ordinare la propria Magic Box, pagarla tramite l’app e andarla a ritirare nella fascia oraria specificata per scoprire cosa c’è dentro. In Italia l’app è attiva in oltre 40 città e conta più di 2 milioni di utenti. 

In occasione della Giornata Nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (5 febbraio 2021) l’app Too Good To Go lancia il “Patto contro lo Spreco Alimentare”. Un’alleanza virtuosa tra aziende, supermercati e consumatori che intende abbattere gli sprechi alimentari nei prossimi tre anni con azioni e iniziative concrete a tutti i livelli della filiera agroalimentare: dall’Etichetta consapevole sui prodotti per interpretare meglio il significato del TMC (Termine minimo di conservazione), alla creazione di un hub strategico a Milano per raccogliere le eccedenze delle aziende e dare vita alle Magix Box XL. A rispondere alla chiamata di Too Good To Go sono importanti player dell’agroalimentare come Birra Peroni, Carrefour, Danone, Fruttagel, Granarolo, Gruppo Montenegro, Gruppo VéGé, IKEA, Kraft-Heinz, Mare Aperto, Naturasì, Nestlé, Raspini Salumi, Salumi Pasini, Unilever. 

Too Good To Go prevede dunque una serie di azioni chiave basandosi su cinque punti fondamentali: Etichetta Consapevole, Azienda Consapevole, Consumatore Consapevole, Supermercato contro lo Spreco, Fabbrica contro lo Spreco. Le aziende potranno sottoscrivere quali tra i punti proposti da Too Good To Go portare avanti per sensibilizzare dipendenti, consumatori e migliorare la propria filiera.

 

  • Myfoody:  è stata la prima startup italiana a impegnarsi nella lotta contro gli sprechi alimentari, attraverso un sistema che permette agli utenti di conoscere i prodotti in scadenza nei supermercati, scontati fino al 50%, e fare una spesa a spreco zero. Nata nel 2015, ad oggi conta, all’interno del territorio nazionale, centinaia di partner (punti vendita della GDO) e centinaia di migliaia di prodotti salvati. 

Myfoody è stata premiata da Federdistribuzione per la miglior soluzione in Italia contro gli sprechi alimentari. Oggi l’impegno è soprattutto quello di far crescere la “consapevolezza green” della sua community: sull’App, infatti, ci sono utili consigli per un vivere sostenibile e per combattere gli sprechi anche tra le mura di casa.

A fronte di numeri e riconoscimenti tanto positivi, l’azienda ha di recente lanciato la partnership con LIDL Italia nelle zone di Milano, Bologna e Torino e ha deciso di dotare la propria app di nuove feature dedicate alla sensibilizzazione della propria community, che a oggi conta oltre 50.000 utenti attivi.

Myfoody ha, inoltre, introdotto nell’app la nuova sezione “Impara” con consigli utili per l’autoproduzione e l’eco-cosmesi, ricette anti-spreco realizzate con le parti di scarto di frutta e verdura e indicazioni per uno stile di vita sostenibile.

 

  • LastMinuteSottoCasa: app anti-spreco alimentare nata nel 2016 , ad oggi scaricata da circa 100.000 utenti. Consente a negozi con prodotti alimentari in eccedenza o che si avvicinano alla scadenza di informare con immediatezza e semplicità migliaia di cittadini nelle vicinanze, tramite notifiche push direttamente sugli smartphone, reimmettendo così sul mercato i prodotti invenduti con uno sconto almeno pari al 40%. 

In fase di registrazione i clienti possono selezionare a quale distanza da casa/ufficio ricevere i messaggi “food-alert” con le proposte di vendita in tempo reale, e da quali tipologie di negozio, cioè bar, pasticceria, panetteria, gelateria e gastronomia. È possibile attivare anche l’opzione “Seguimi”, così da essere informati sulle offerte vicine quando ci si muove in altre parti della città, rispetto alle zone abituali. Il servizio è gratuito, mentre i negozianti pagano un contributo mensile pari al costo di un caffè al giorno.

Rappresenta un esempio di live-marketing di prossimità e si propone come un progetto win-to-win in cui vince il commerciante che trasforma le perdite generate dell’invenduto in ricavi e attira nuovi clienti, vince il cliente che acquista a prezzi altrimenti impensabili per un prodotto fresco (sconti del 40%, 50%, 60%) e, cosa più importante, vince anche il Pianeta, riuscendo ad evitare lo spreco quotidiano di tonnellate di cibo.

Evitare lo spreco di cibo dovrebbe rappresentare una priorità per tutti non solo per il problema ambientale, è importante soffermarsi anche sulla questione etica. Secondo il rapporto dell’ONU sono circa 2 miliardi le persone nel mondo che soffrono la fame o che comunque affrontano problemi di insicurezza alimentare: questo fenomeno è diffuso soprattutto in Asia ed è in grande diffusione anche in Africa. Non a caso il settore alimentare vive di paradossi, il 5% della popolazione utilizza un terzo delle risorse disponibili sul nostro pianeta e il 20% delle risorse ricavate dalla produzione vegetale è deputato agli allevamenti di animali. Per concludere è importante ripetere ancora una volta quanto sia importante invertire il trend degli sprechi alimentari, per una Terra più pulita e più equilibrata. 

Articolo precedenteL’Empire State Building si tinge di green: dall’energia fossile all’energia rinnovabile
Articolo successivoL’evoluzione dell’e-commerce: quando l’integrazione tecnologica si rivela una strategia efficace